Jay Kelly dimostra che Hollywood dovrebbe smettere di fare film su se stessa

L’operazione dei “film sui film” è sempre stata di nicchia, con titoli come I Protagonisti e Hollywood, Vermont che comparivano ogni pochi anni. Erano per pochi soprattutto perché raramente fruttavano grandi guadagni, ma questo sembra essere cambiato con l’inizio del XXI secolo. Film come Tropic Thunder, The Artist, Birdman, La La Land, The Disaster Artist, Mank, The Fabelmans, Babyloon e molti altri hanno ottenuto successo critico o commerciale mettendo in qualche modo l’industria cinematografica sotto i riflettori.

Il trend si è persino spostato sul piccolo schermo, come dimostra la serie di Apple TV+ The Studio, acclamata dalla critica e vincitrice di 13 Emmy—a conferma del record per il maggior numero di premi ottenuti da una singola stagione.

Jay Kelly, del regista e sceneggiatore Noah Baumbach (Marriage Story), è l’ultimo esempio di questo “genere”. Pur essendo acclamato dalla critica, il finale di Jay Kelly conferma solo l’impressione che Hollywood dovrebbe smettere di fare film su se stessa.

Scritto dallo stesso Baumbach insieme a Emily Mortimer, il film Netflix segue la storia di un celebre attore (George Clooney) durante un viaggio attraverso l’Europa insieme al suo entourage e al suo manager (Adam Sandler), offrendo una riflessione sulle sue scelte di vita, sulle relazioni personali e sull’eredità che lascerà dietro di sé. Per le loro interpretazioni, Clooney e Sandler hanno ricevuto una nomination agli 83ª Golden Globe Awards, rispettivamente nelle categorie attoriali di riferimento.

Nonostante i favori della critica, Jay Kelly non arriva a esplorare in modo significativo la celebrità o il mondo di Hollywood e finisce per ripetere troppe delle stesse dinamiche autoreferenziali senza offrire un punto di vista inedito o incisivo.

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