Cosa aspettarsi da Pluribus, la nuova serie di Vince Gilligan (creatore di Breaking Bad)

Sulle strade deserte di Albuquerque, nel cuore del New Mexico, Rhea Seehorn cammina da sola, ancora scossa da ciò che ha appena visto. Vince Gilligan, dietro la macchina da presa, la osserva attentamente, catturando ogni sfumatura della sua espressione: paura, smarrimento, incredulità. Ma questa volta non è Better Call Saul. Anche se le due anime creative dietro al nuovo progetto sono le stesse, Pluribus è qualcosa di completamente diverso.

In questo mondo, l’apocalisse è arrivata, ma in modo curioso e disturbante: la gente è felice. Felice in modo inquietante, euforico, disarmante. Solo Carol Sturka — l’enigmatica protagonista interpretata da Seehorn — sembra accorgersi che qualcosa non va. Mentre il caos regna tra aerei abbattuti e incidenti stradali, una folla di persone gentili le chiede se sta bene, sorridendo. Ma Carol è troppo terrorizzata per rispondere.

È così che inizia Pluribus, la prima serie di Gilligan al di fuori dell’universo di Breaking Bad dopo quasi vent’anni. Un nuovo, ambizioso progetto prodotto da Apple TV, la piattaforma che negli ultimi anni si è imposta come casa dello sci-fi “prestigioso”, quello che mescola spettacolo e filosofia, come Scissione o Silo. Ma Pluribus non è il solito thriller fantascientifico: è una riflessione profonda, ironica e inquieta sull’essenza stessa della felicità.


Vince Gilligan oltre il crimine

Dopo due delle serie più acclamate di sempre — Breaking Bad e Better Call Saul — Gilligan ha deciso di cambiare rotta. “Volevo fare qualcosa di diverso, di più umano e meno cupo,” ha raccontato a Screen Rant. Ma allo stesso tempo, non poteva ignorare le sue radici. Prima di Walter White, c’era The X-Files: lì aveva imparato a coniugare il fantastico con l’umano, il surreale con l’intimo. Con Pluribus, torna a quel mondo, ma con una nuova consapevolezza.


Rhea Seehorn, il cuore dell’apocalisse

Rhea Seehorn è l’anima pulsante di Pluribus, così come Kim Wexler lo era di Better Call Saul. Ma Carol Sturka è una figura molto diversa: una scrittrice di romanzi romantico-fantasy — la saga Winds of Wycaro — che vive un successo che non la soddisfa. La vediamo per la prima volta a una presentazione del suo nuovo libro, sorridente e affabile con i fan. Ma appena resta sola con la moglie e manager Helen (interpretata da Miriam Shor), la maschera cade. Carol disprezza il genere che l’ha resa famosa e si mostra cinica, distante, stanca.

Quando il mondo comincia a dissolversi intorno a lei — quando la realtà stessa si piega a un assurdo stato di benessere collettivo — Carol si ritrova a essere l’unica a non voler sorridere. Tutti la circondano di attenzioni, la riveriscono, la servono, ma lei non riesce a provare la serenità che sembra aver invaso il resto dell’umanità.

“Quando Vince mi ha detto che aveva scritto un ruolo per me, non avevo nemmeno bisogno di leggere la sceneggiatura,” racconta Seehorn. “Sapevo che qualunque cosa avesse in mente, sarebbe stata grandiosa. Ma non mi aspettavo questo viaggio.”

La serie, infatti, non è solo un mistero apocalittico, ma anche un’esplorazione del dolore, della solitudine e del bisogno di autenticità. Carol è un personaggio in bilico tra la rabbia e il desiderio di capire, circondata da persone troppo felici per essere vere.


Un’apocalisse “gentile”

Gilligan, maestro nel raccontare la corruzione morale e la fragilità umana, qui cambia completamente prospettiva. “Volevo mostrare un’apocalisse diversa,” spiega. “In The Walking Dead non vuoi essere uno zombie. Qui, forse sì. Forse sarebbe persino un paradiso.”

È questa l’idea perturbante alla base di Pluribus: un mondo che collassa non sotto il peso della violenza o della fame, ma dell’eccesso di felicità. L’umanità ha trovato un modo per vivere in pace, ma a un prezzo che solo Carol sembra riconoscere.

Per Rhea Seehorn, interpretare un personaggio così complesso è stata una sfida continua: “La serie cambia tono di continuo — a volte è ironica, a volte dolorosa, spesso entrambe le cose nella stessa scena. Ma con Vince ti senti sempre in buone mani.”

Karolina Wydra, che interpreta Zosia, una sorta di “angelo custode” di Carol in questo nuovo mondo, descrive il progetto come “una riflessione profonda su cosa significhi essere felici, cosa sia la natura umana e dove si trovi il confine tra contentezza e follia”.


Costruire la fine del mondo

Per Gilligan, Pluribus è stato anche un’impresa logistica titanica. Il primo episodio — che mostra il momento esatto in cui il mondo “cambia” — include una lunga sequenza in piano sequenza che attraversa sei isolati di Albuquerque.

“Volevo che fosse epico e reale, non un montaggio caotico,” racconta. “Ma è stato durissimo. Abbiamo provato tutta la notte e girato per dodici ore. Alla fine, abbiamo usato l’ultima ripresa. Quasi ci ha uccisi, ma ne è valsa la pena.”

Apple ha dato a Gilligan tempo e risorse, permettendogli di costruire un’apocalisse cinematografica. Alcune scene sono state girate anche alle Canarie e in Spagna, segnando la prima volta in cui il regista lavora fuori dagli Stati Uniti (a parte il Canada). “È stata un’esperienza estenuante ma bellissima. Ho perso un paio d’anni di vita, ma ho guadagnato un sogno.”

Sul set, però, regnava un’atmosfera familiare. Molti membri della troupe avevano già lavorato su Breaking Bad o Better Call Saul. “C’era una sensazione di casa,” racconta Seehorn. “Essere circondata da persone che credono in te, che ti spingono a dare di più, rende tutto possibile.”


Un’apocalisse per riflettere sul presente

Nonostante la cornice fantascientifica, Pluribus è profondamente legata alla realtà. “Viviamo in un mondo in cui tutti sembrano impazziti,” spiega Gilligan. “Tra social, polarizzazione, rabbia costante, è difficile trovare un terreno comune. Forse siamo già in una specie di apocalisse.”

La serie riflette su questa condizione collettiva attraverso il paradosso: un mondo perfettamente felice che nasconde un’inquietudine profonda. Carol, con la sua incapacità di adattarsi, diventa una sorta di specchio per lo spettatore. È la voce stonata in un coro di sorrisi.

Gilligan non vuole dare risposte definitive. “Non voglio dire alla gente cosa pensare. Voglio che discutano. Magari qualcuno penserà che il mondo di Pluribus non è poi così male. Altri lo troveranno spaventoso. È questo il bello.”

Seehorn aggiunge: “La serie pone domande gigantesche. Cosa significa amare davvero? Cosa vuol dire essere felici? È meglio la felicità collettiva o la libertà individuale? Non ci sono risposte, ma guardandola inizi a porti queste domande.”


Un ritorno alle origini

Gilligan ha sempre amato la fantascienza. “Se dovessi dire qual è la mia serie preferita di sempre, direi The Twilight Zone,” confessa. “Con Pluribus ho voluto rendere omaggio a quell’eredità. Ci sono riferimenti a Invasion of the Body Snatchers, Star Trek: The Next Generation, The Last of Us, persino a Mad Max.”

Ma Pluribus non è una parodia o un collage di citazioni: è un mosaico coerente che usa i tropi del genere per raccontare emozioni reali. Come in Breaking Bad, il centro non è l’evento straordinario, ma il modo in cui esso trasforma le persone.

Carol è, in fondo, una donna normale che si ritrova davanti all’assurdo. Mentre il mondo si piega verso una felicità forzata, lei cerca un senso, un perché. Forse, come suggerisce Seehorn, “è l’unica che ancora sogna un mondo imperfetto ma vero.”


Il futuro di Pluribus

Apple TV ha già rinnovato la serie per una seconda stagione, ma Gilligan non vuole correre. “So più o meno come dovrebbe finire,” ammette. “Ma sono sempre pronto a buttare via un’idea buona per una migliore. Forse durerà tre stagioni, forse di più. L’importante è sapere quando lasciare la festa.”

È un approccio che gli ha portato fortuna: Breaking Bad e Better Call Saul hanno chiuso al momento giusto, lasciando il pubblico con la sensazione di aver assistito a qualcosa di completo. Con Pluribus, Gilligan sembra voler replicare quella magia — ma in un contesto completamente diverso.

Il 7 novembre, Apple rilascerà i primi due episodi insieme, scelta inizialmente discussa dal regista. “Preferivo uno a settimana,” racconta, “ma poi ho capito che i primi due episodi formano un unico racconto. Solo guardandoli insieme si capisce davvero di cosa parla la serie.”

Apple ha mantenuto grande segretezza durante la promozione, diffondendo solo teaser criptici e poster enigmatici. “Neanche la mia famiglia sa di cosa parla davvero,” ride Seehorn. “Non vedo l’ora di sedermi con loro e guardarla. È un progetto che amo, e non potrei essere più orgogliosa.”


Un sorriso nel buio

Pluribus è, in definitiva, una storia sull’umanità, mascherata da fantascienza. È l’apocalisse vista non come distruzione, ma come un esperimento emotivo: cosa accade quando il dolore scompare e resta solo la gioia? Cosa resta dell’identità quando non esiste più il conflitto?

Attraverso Carol Sturka, Gilligan e Seehorn ci invitano a guardare dentro di noi. Forse non vogliamo un mondo perfettamente felice. Forse la nostra forza sta proprio nella capacità di sentire tutto — gioia e dolore, amore e rabbia, speranza e disperazione.

Con la sua visione ironica e malinconica, Pluribus sembra ricordarci che la vera apocalisse non è quella che distrugge il mondo, ma quella che ci toglie la possibilità di scegliere chi essere.

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