La maschera del demonio, quando Bava inventò l’horror gotico

Il capolavoro del leggendario maestro sanremese, pietra miliare del cinema gotico italiano, approdava nelle sale nel 1960. Castelli, cripte, erotismo velato e creature soprannaturali erano elementi ormai pronti a entrare nell’immaginario cinematografico nostrano.

Nel suo debutto da regista, Mario Bava mostra fin da subito la sua maestria visiva e la capacità di fondere arte, pittura e horror gotico. Ex direttore della fotografia, Bava usa il bianco e nero con straordinaria precisione per creare un’atmosfera ipnotica e inquietante. Liberamente ispirato al racconto breve Vij di Nikolaj Gogol’, il film è ambientato in Moldavia e racconta la storia di una strega condannata a morte dal fratello, che due secoli dopo ritorna per vendicarsi sui suoi discendenti.

La storia si apre con l’esecuzione brutale della strega Asa Vajda (Barbara Steele) e del suo amante Javutich, accusati di satanismo. Due secoli dopo, un gruppo di medici li risveglia accidentalmente, dando inizio a una vendetta che minaccia la discendente di Asa, la pura Katia.

Dopo aver curato la fotografia di Ercole (1958) e Ercole e la regina di Lidia (1959) per la casa di produzione Galatea, e dopo aver contribuito al completamento di altri due film dello stesso studio (Caltiki – Il mostro immortale, 1959, e Il gigante di Marathon, 1959), Bava ottenne dal presidente della compagnia, Lionello Santi, il permesso di dirigere un film destinato al mercato estero. Scelse di realizzare un film horror per sfruttare il recente successo del Dracula (1958) diretto da Terence Fisher.

Il film unisce elementi del gotico classico dei film Universal degli anni ’30 e dei film Hammer degli anni ’50, ma con uno stile visivo più lirico e personale. Le inquadrature eleganti, i movimenti di macchina fluidi e i contrasti di luce e ombra riflettono la lotta tra bellezza e corruzione, vita e morte.

Le riprese si svolsero presso gli studi Scalera Film di Roma e in esterni al Castello Massimo di Arsoli.
Bava esplora anche temi religiosi, mostrando come la fede possa essere sia protezione sia illusione, mentre la simbologia della maschera e del doppio rivela il male nascosto dietro l’apparenza.

Oggi il film è considerato un’opera pionieristica, che ha definito gli standard dell’horror italiano grazie al suo equilibrio tra bellezza e orrore, e per le forti rappresentazioni di erotismo e violenza grafica. Questi elementi influenzeranno i generi italiani successivi, come lo spaghetti western e il giallo. Il film rese l’attrice britannica Barbara Steele una star in Italia e la portò a recitare in numerose produzioni horror negli anni Sessanta e Settanta.

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