Stanley Kubrick ha attraversato con maestria una vasta gamma di generi cinematografici nel corso della sua carriera, spaziando dai thriller criminali al capolavoro di fantascienza 2001: Odissea nello spazio. Sebbene molti dei suoi film contengano sfumature di orrore psicologico, fu solo nel 1980, con Shining, che affrontò esplicitamente il genere horror, ridefinendolo per sempre.
Tratto dal romanzo di Stephen King, Shining è molto più di un semplice adattamento. Kubrick ne fece un’opera personale, distillando la narrazione fino a trasformarla in una riflessione filosofica sul male, spogliandola degli elementi soprannaturali per concentrarsi sulla follia umana. Questo approccio non piacque all’autore del libro, che rifiutò il film come vera trasposizione, ma il pubblico e la critica — col tempo — lo hanno consacrato come uno dei più grandi horror della storia del cinema.
Jack Nicholson è indimenticabile nei panni di Jack Torrance, uno scrittore fallito che si ritira con la famiglia nell’isolato Overlook Hotel, dove lentamente precipita nella follia. Il film è oggi considerato un capolavoro visivo e stilistico, ma non lo fu sin da subito: all’uscita fu accolto con freddezza, salvo poi essere rivalutato come classico assoluto del genere.
Tra le sequenze più iconiche, spicca quella dell’“ascensore di sangue”: le porte si aprono e una cascata di liquido rosso invade il corridoio, in un’immagine tanto surreale quanto disturbante. Dietro quella scena si nasconde una realizzazione complessa e maniacale. Furono necessari quasi dodici mesi di preparazione per progettare il meccanismo perfetto, anche se ne bastarono solo tre take per ottenere la versione definitiva.
Kubrick, noto per la sua ossessiva ricerca della perfezione e per l’uso limitato degli effetti speciali digitali, volle tutto pratico. Il set fu costruito a grandezza naturale, con veri ascensori e oltre 1.000 litri di una miscela densa di acqua, colorante e addensanti, ideata per simulare il sangue. Tuttavia, la sostanza interferiva spesso con i meccanismi elettrici e filtrava dalle porte in modo incontrollato. Ogni errore comportava ore di pulizia per riportare il set alle condizioni iniziali.
«Abbiamo passato settimane a trovare il colore giusto: non doveva essere troppo rosso, e la consistenza era cruciale», raccontò Leon Vitali, assistente di Kubrick. «Con quella pressione dentro un ascensore, rischiavamo che tutto esplodesse.»
Kubrick stesso non riusciva nemmeno a guardare la scena mentre veniva girata, ma rimase entusiasta del risultato finale. Con grande furbizia, riuscì persino a convincere la Warner Bros a includere la sequenza nel trailer, sostenendo che si trattasse di acqua arrugginita, non di sangue.
Il risultato è una delle immagini più indelebili del cinema horror, frutto di artigianato puro e di una visione artistica assoluta. Un esempio perfetto del modo in cui Kubrick sapeva trasformare l’incubo in arte.










Una scena che negli anni è stata citata in tanti altri film. E non è l’unica.