Rosebud era una slitta. Norman Bates era sua madre e, 30 anni fa, I soliti sospetti consegnò un altro dei più memorabili colpi di scena della storia del cinema. Scritto da Christopher McQuarrie e diretto da Bryan Singer, il neo-noir thriller che ha cambiato le regole del gioco si accaparrò due Premi Oscar: quello per la migliore sceneggiatura originale e quello per il miglior attore non protagonista, consegnato nelle mani dell’iconico Kevin Spacey.
La trama puzzle del film:
La storia inizia con l’interrogatorio di Verbal Kint, un truffatore zoppo, unico sopravvissuto a un’esplosione su una nave a San Pedro, in California, che ha causato decine di morti. Attraverso il suo racconto, emergono i retroscena di un gruppo di cinque criminali che si incontrano in una retata e decidono di collaborare per una serie di colpi. Sopra la banda aleggia il misterioso supercriminale Kaiser Soze, più cattivo del demonio, forse il diavolo in persona.
Il nome di Keyser Soze conteneva un grande indizio, ma solo se parlavi turco (Attenzione, spoiler)
L’intero intreccio della trama culmina in un finale scioccante, dove le verità raccontate da Verbal si rivelano parte di una complessa rete di bugie. McQuarrie avrebbe consultato un dizionario turco-inglese per scegliere un nome enigmatico per il suo antagonista. Si ispirò infatti alla parola turca “sze”, tratta dall’espressione “sze bogmak”, che può essere tradotta come “parlare troppo” o “fare troppe domande”. Non a caso, il personaggio interpretato da Kevin Spacey si chiama Roger “Verbal” Kint, e in una scena afferma esplicitamente: “La gente dice che parlo troppo”. Tuttavia, questa connessione sarebbe rimasta nascosta a chiunque non avesse familiarità con il turco colloquiale.









