Beyoncé e le origini black della musica country

Beyoncé rivendica le origini black del country con Cowboy Carter. L’ottavo album della popstar statunitense che uscirà questo venerdì. Si tratta del secondo atto della trilogia inaugurata nel 2022 con Act I: Renaissance. Il disco vincitore di 4 Grammy Awards e con cui ha raggiunto il numero record di 28 statuette.

Trainato dai singoli Texas Hold ‘Em e 16 Carriages, la svolta country della regina del pop R&B ha spalancato le porte del saloon a un nuovo pubblico. Un rivoluzione quella di Queen Bey che ha scatenato un terremoto mediatico nella comunità bianca statunitense. Tanto che la stazione radio KYKC, a Byng in Oklahoma, si era rifiutata di trasmettere Texas Hold’em per poi fare ammenda e mettere in onda il pezzo nel giro di 24 ore. Il motivo delle doverose scuse sta nelle origini black della musica country. Vi raccontiamo come il genere associato all’America bianca e conservatrice sia iniziato proprio con i neri, nello specifico, con il banjo importato negli States dagli schiavi africani.

L’eredità della musica country

I liuti africani, predecessori del banjo e ricavati dalla zucca, furono utilizzati all’inizio del XVI secolo nell’Africa occidentale in paesi come Gambia, Senegal e Guinea. Ancora, oggi, sono suonati dagli africani occidentali. Al culmine del commercio transatlantico degli schiavi, gli africani rapiti furono trascinati nelle isole dei Caraibi prima di essere portati con la forza nel Sud degli Stati Uniti. È in questi due posti che i neri costruirono strumenti che imitavano quelli nella loro terra natia per mantenere viva la tradizione, durante la brutalità e la sottomissione della schiavitù. Le prime versioni del banjo furono utilizzate in Giamaica nel 1687. Lo strumento fu riportato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1736 e alla fine nel 1800 si fece strada verso il New England, diventando una fusione tra le tradizioni dell’Africa occidentale e quella europea.

Il banjo divenne la spina dorsale della musica e della cultura statunitense attraverso lo show dei menestrelli – la forma di intrattenimento più popolare nell’America bianca nei primi anni del XIX secolo – in cui gli artisti si esibivano con la faccia dipinta di nero, cioè in blackface, in versioni grottesche e caricaturali degli schiavi africani sulle piantagioni. Il country si diffuse negli anni ’20 durante gli albori della registrazione musicale. Secondo lo storico Bill C. Malone, la musica country è stata «presentata al mondo come un fenomeno del sud». Per tutti questi motivi, diversi musicisti neri considerano la concezione «bianca» del country una forma di appropriazione culturale. Basti pensare che nella Country Music Hall of Fame di Nashville, il pantheon del genere «lazo e speroni», solo tre cantanti su 155 sono afroamericani: il primo – Charley Pride – è entrato a farne parte solo nel 2000.

Ci ha pensato Queen Bey a (ri)appropriarsi del country, diventando la prima donna nera a conquistare la vetta della Hot Country Songs Chart con la viralissima Texas Hold ‘Em: la sua, personale, ode al banjo.

Beyoncé non è la prima persona di colore a pubblicare un disco country. Ray Charles, Solomon Burke, Bobby Womack, Esther Philips, Otis Williams, Millie Jackson e Tina Turner (solo per citarne alcuni) lo hanno fatto prima di lei. Più recentemente, Ludacris, LL Cool J, Nelly e Snoop Dogg.

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